Marco Pantani – quando gli italiani erano tutti più ciclisti. (di C. Lifrieri)

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Marco Pantani detto il Pirata

Di Cristiano Lifrieri 

 

Marco Pantani detto il Pirata

Di Cristiano Lifrieri 

Fabio Caressa, giornalista e conduttore romano, una volta disse: <<C’è un limite nella vita di uno sportivo, un muro che divide la normalità dall’eccellenza. Può essere un momento o una partita, se hai la forza di superarlo puoi alzare gli occhi, guardare la luce e pensare di non avere più confini>>.  Se c’è  almeno un uomo che è stato capace di varcare il muro che divide la normalità dall’eccellenza è sicuramente lui, si scrive Marco Pantani, si legge “Il Pirata”. A sedici anni dalla sua scomparsa Marco è ancora tra noi e te ne accorgi quando ancora ti viene da urlare “Forza Pantani” vedendo un ciclista per strada. La carriera del pirata, appellativo assegnatogli per l’abitudine di correre con in testa bandane colorate, inizia nel 94’ quando vinse la sua prima tappa nel giro di Italia. L’anno successivo Marco riuscii a catturare l’attenzione dei media italiani e non solo, con le vittorie di due tappe nel Tour de France, persino in Francia iniziano a tifare per lui con l’urlo: “Alè Pantanì”. Un uomo tanto sregolato nella vita privata, quanto in quella sportiva. L’apice della sua carriera che lo dichiara leggenda indiscussa del ciclismo, è però il Tour de France del 98’, precisamente lo scatto sul colle del Galibier. A poco più di un mese dalla vittoria del giro d’Italia, Pantani sfida i giganti del ciclismo, uno in particolare, il tedesco campione uscente Jan Ullrich. Il distacco nei confronti del tedesco prima della tappa è di oltre tre minuti, troppo per tutti, per tutti ma non per lui, non per l’uomo con la bandana in testa e lo sguardo sornione. Nonostante le condizioni atmosferiche avverse, pioggia e nebbia davano vita ad un ambiente spettrale sulla vetta più alta dell’intero tour, esattamente a 2.642m. A cinque km dal termine della tappa, Marco inizia ad attaccare, ha un modo di pedalare che è diverso da tutti gli altri, di tanto in tanto si alza in piedi sulla sua bici facendo impazzire il pubblico che gli stava intorno. Lingua in fuori ed il pirata macina sempre più secondi, minuti. Non ci sono solo bandiere italiane a tifare per lui, ma è un movimento intero ad accompagnarlo lungo la salita. Una forza della natura. Tenace sulla bici e debole nell’anima. Testa, gambe, Marco getta il cuore oltre l’ostacolo; il capolavoro si completerà pochi minuti più tardi. Pantani conquista la maglia gialla e arriva alla fine della tappa con poco meno di nove minuti rispetto al “Kaiser” – soprannome di Ullrich, che in tedesco vuol dire l’Imperatore – compiendo un’impresa unica nel ciclismo. Pochi giorni dopo Pantani verrà proclamato a Parigi vincitore del Tour de France. Gli anni successivi furono caratterizzati da altre vittorie di tappe memorabili e di sfide entusiasmanti con Lance Armstrong, ma furono caratterizzati anche da scandali e successivamente da anni di depressione che condizionarono definitivamente la vita dello scalatore. Il 14 Febbraio di sedici anni fa, Marco fu trovato morto in un albergo di Rimini. Molti sostengono che avrebbe potuto vincere molto di più, che qualcuno ha voluto fortemente, per motivi ancora “ignari”, distruggere la carriera del Pirata. Certo però, è che forse Marco non ha vinto tanto quanto meritava, ma ha vinto molto di più. Marco Pantani è riuscito ad irrompere prepotente nel cuore di migliaia e migliaia di sportivi e non, oltrepassando la barriera che divide l’uomo dalla leggenda.Non esiste sport dove non esistono idoli indiscussi, talenti. Marco Pantani era qualcosa di più di un semplice talento, Marco era il ciclismo e te ne accorgi quando ancora oggi, se vedi un ciclista in strada, ti viene ancora da urlare: “Forza Pantani”

 

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