Te lo ricordi Diego? Quel maledetto diciassette Marzo. (di C. Lifrieri)
Cristiano Lifrieri ci racconta Maradona. Leggi l’articolo
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Era una domenica come tante il diciassette marzo del 1991, esattamente ventinove anni fa. Una domenica come tante per tutti, ma non per Napoli, non per gli sportivi più romantici. Diego Armando Maradona, lo scugnizzo argentino, risulta positivo alla cocaina a seguito di alcuni controlli effettuati nel post partita di un Napoli-Bari disputata qualche domenica precedente. E’ la fine dell’esperienza al Napoli del “Pibe de oro”. Umorale, sregolato, irrazionale, ma al contempo, geniale, creativo, talentuoso, unico. Cresciuto alle porte della gran Buenos Aires, a Villa Fiorito, un luogo dove degrado e miseria ne fanno da padrone, Dieguito inizia la propria carriera negli Argentinos Juniors. Passa nel 81’ ad indossare i colori della sua squadra del cuore, il Boca Juniors. Breve l’esperienza alla “Bombonera”, le casse della società argentina sono vuote e Diego si trasferisce l’estate successiva al Barcellona. Anni di ottime giocate, qualche vittoria, ma in fondo Maradona non ama Barcellona, la “capitale” della catalogna è un luogo troppo chic per il “guappo” di Villa Fiorito. Nella seconda e ultima stagione in Spagna, Goicoetchea, con un’entrata assassina, gli frattura il malleolo ed al rientro in campo qualche mese successivo Maradona sembra abbia perso l’estro del campione. Nell’estate del 84’ il vento del destino lo porta in terra partenopea, a Napoli. Una città straordinaria, meravigliosa, ricca di fascino e di cultura ma allo stesso tempo invasa da problemi sociali e dove la gente, seppur afflitta da mille problemi, non smette di sorridere e sognare davanti al semplice suono di un mandolino. Napoli è casa sua e Maradona se ne accorge sin da subito, sin da quando oltre sessantamila tifosi azzurri sono li pronti ad “abbracciarlo” al San Paolo nel giorno della sua presentazione. Napoli è autentica, è ricca di piccoli gesti, ricca di spontaneità. Il primo anno arriva un deludente ottavo posto, il secondo un rinvigorito terzo. Nella stagione 86/87 però Diego prende in mano la squadra. È il suo anno, è l’anno di Messico 86, della “Mano de Dios”, del goal più bello della storia del calcio, di quello che con undici tocchi lo porta a battere i tanto odiati inglesi. In quell’anno arriva la Coppa Italia e soprattutto la vittoria del Campionato. Lo scudetto vinto non è solo una vittoria sportiva, ma è una rivendicazione sociale nei confronti dei grandi imprenditori del Nord, “Come lui a Napoli solo Masaniello e i Borbone” dirà di lui, Pino Daniele. Arriveranno negli anni successivi un altro scudetto, una Supercoppa Italiana ed una coppa Uefa. I mondiali degli anni 90, disputati in Italia, iniziano a fra scricchiolare il rapporto tra Maradona e l’Italia, Diego non manda giù i fischi all’inno argentino durante la finale – poi persa – contro la Germania. Il suo carattere ribelle lo porta a frequentare ambienti poco sani. Maradona è tanto forte sul campo di calcio, quanto fragile nella vita e cosi, si fa catturare dalla ragnatela dei vizi, dagli ambienti loschi di una piccola parte della città, fino all’epilogo del 17 marzo del 91. E’ una sera tanto calda fuori quanto fredda nel cuore dei tanti napoletani. Maradona sale su un aereo da Fiumicino direzione Buenos Aires, senza mai più rientrare in Italia (tornerà a Napoli solo nel 2005, durante l’addio al calcio del suo compagno di squadra Ferrara). Se esiste una linea sottile che divide la sacralità con il mondo mortale, bhè quella Diego Armando Maradona l’ha oltrepassata di gran lunga. Maradona è destinato ad essere l’icona principale dello sport più bello al mondo per sempre e poco importa se ha trascorso una vita sregolata, peccaminosa, indisciplinata, perche in fondo parliamoci chiaro: “Se yo fuera Maradona viveria come el”.